Nuovo teatro

Nuovo teatro

DATE:
1959- in corso

GRUPPI E LUOGHI:
Roma

RIVISTE:
«Ubu» (Milano 1970-1971), «Teatro festival» (Parma 1967-1969), «Teatro. Rassegna trimestrale di ricerca teatrale» (Torino 1967-1971), «La scrittura scenica» (Roma 1971-1983).

EVENTI:
Convegno di Ivrea 1967


DESCRIZIONE:
Sotto il nome di Nuovo Teatro ricadono le sperimentazioni che animano il teatro italiano a partire dai primi anni Sessanta fino, perlomeno, alla metà degli anni Ottanta; secondo alcuni storici il fenomeno può tuttavia considerarsi, per certi aspetti, ancora esistente e in fase evolutiva. Il 1959 è riconosciuto come l’anno d’avvio del Nuovo Teatro poiché vede l’esordio attoriale di Carmelo Bene e quello alla regia di Carlo Quartucci, due dei principali protagonisti del rinnovamento teatrale che prenderà poi piede negli anni successivi grazie all’operato alle compagnie di teatranti come Mario Ricci, Giancarlo Nanni, Leo De Berardinis e Perla Peragallo (Leo e Perla), per citare alcuni tra i nomi più noti di questo movimento che, con non poche riserve e sull’onda di quanto avvenuto con il Gruppo 63 in ambito letterario, verrà presentato come la “nuova avanguardia teatrale”. Lontano dal costituire un movimento unitario, il Nuovo Teatro deve essere pensato come una nebulosa di esperienze diverse, accomunate principalmente dalla necessità di promuovere nuove forme teatrali, in reazione alla situazione ritenuta stantia e provinciale del teatro italiano, e dall’avversione al teatro ufficiale, che sotto la pressione di interessi economici e opportunità politiche ostacola lo sviluppo di tendenze di ricerca. Si sviluppa di conseguenza un circuito alternativo a quello ufficiale, a partire dai luoghi della rappresentazione, che garantisce indipendenza e autonomia nelle scelte artistiche rispetto agli apparati istituzionali e all’establishment, e che si verifica in primo luogo nell’apertura delle famose cantine romane a metà anni Sessanta – piccoli locali adattati a teatro e per lo più gestiti dalle singole compagnie – e, in seguito, nella creazione di festival e rassegne dedicate al Nuovo Teatro che attraversano tutta la penisola. A questo proposito si deve sottolineare che il Nuovo Teatro trova il proprio epicentro a Roma nella fase iniziale, ma che diventa rapidamente una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale interessando in particolare città come Napoli, Firenze, Genova, Palermo, Bologna, Parma, ma anche piccoli centri di provincia. Il primo momento aggregativo tra le nuove compagnie sperimentali, attraverso il quale si definiscono gli elementi comuni esistenti tra le pratiche teatrali già in atto, è rappresentato dal Convegno tenutosi a Ivrea nel 1967, promosso dai critici teatrali Franco Quadri, Edoardo Fadini, Ettore Capriolo e Giuseppe Bartolucci, che svolgono un ruolo essenziale nella definizione del Nuovo Teatro e sono estremamente attivi nella promozione del teatro di ricerca attraverso l’organizzazione di eventi e le riviste da loro fondate come «Ubu», «Teatro festival», «La scrittura scenica» e «Teatro». Durante il convegno emerge come il movimento proponga in primo luogo una nuova metodologia di lavoro teatrale che prende il nome di scrittura scenica, con la quale viene affidata uguale importanza a tutti gli elementi e le arti in gioco nella rappresentazione, superando così la tradizionale “supremazia” del testo, e il lavoro della compagnia viene ripensato in senso laboratoriale e collegiale, con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico nel farsi stesso dell’opera. L’opera teatrale tende inoltre a porsi come un evento, come un’“esperienza” offerta al fruitore, seguendo in questo senso la lezione di Artaud e aderendo al modello estetico dell’opera aperta definito da Umberto Eco. Uno degli obiettivi primari individuati durante il convegno di Ivrea è l’abolizione della separazione tra scena e platea, che vuole connotarsi come operazione di intervento diretto sulla realtà sociale e politica, come una forma di riappropriazione della valenza politica del teatro, e persino come strumento di azione rivoluzionaria. Nell’appello lanciato dai critici per il convegno e sui documenti offerti in lettura ai partecipanti, si specifica infatti che «La lotta per il teatro è qualcosa di molto più importante di una questione estetica. […] Il teatro deve poter arrivare alla contestazione assoluta e totale» (Per un nuovo teatro, in F. Quadri, L’avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), Einaudi, Torino 1977, pp. 135 e 137). «Il teatro è oggi un modo di intervento diretto nel corpo vivo della società e rappresenta il punto d’incontro della collettività […] richiede una partecipazione del pubblico in senso rivoluzionario. […] questa partecipazione del pubblico si esplica in tre modi: a) come tendenza politica. b) come contestazione al sistema politico sociale. c) come presa di coscienza dei momenti decisivi per la contemporaneità» (Elementi di discussione, ivi, p. 139).  Il raggiungimento della piena congiunzione tra il fatto estetico e il gesto politico si delinea, dunque, come una delle aspirazioni principali del Nuovo Teatro, in funzione di un ripensamento del rapporto tra arte e società. La direzione politica sembra definirsi e accentuarsi con l’avvento del Sessantotto, man mano che il teatro “fuoriesce” dal teatro stesso, sia perché nelle soluzioni formali adottate si allontana programmaticamente da quelle istituzionalizzate, sia perché, letteralmente, il teatro si fa “fuori” dal teatro. Il luogo della rappresentazione assume infatti un ruolo centrale; dai primi esperimenti di destrutturazione della sala teatrale si assiste a un rapido “spostamento” del teatro fuori dai luoghi predisposti alla rappresentazione, verso i luoghi della collettività come strade, piazze, istituti e edifici pubblici, con l’obiettivo di stimolare la partecipazione attiva della società, ovvero di trasformare il fruitore nel produttore e protagonista dell’opera stessa, promuovendo al contempo la nascita di nuovi legami sociali. In questo senso uno dei primi esempi è rappresentato dal lavoro di Giuliano Scabia che si impegna in progetti di decentramento e scrittura collettiva, in cui gli abitanti dei luoghi e degli istituti interessati divengono il fulcro del processo creativo. Nel 1969 Scabia realizza un progetto teatrale nelle periferie torinesi, dove allestisce spettacoli incentrati sulle lotte politiche assieme agli abitanti dei quartieri operai; nei primi anni Settanta realizza degli spettacoli d’animazione con gli studenti della scuola media di Sissa, in provincia di Parma, e nell’Ospedale Psichiatrico di Trieste diretto da Franco Basaglia, dove la compagnia di Scabia si installa venendo a prendere un posto di rilievo nel processo di trasformazione dell’ospedale stesso, voluto da Basaglia, con l’obiettivo di attivare un legame con il “fuori” delle mura segregative del manicomio. Tra le più importanti operazioni di decentramento si deve ricordare l’esperimento di Quartucci, Camion, che prende avvio nel 1971. Quartucci e la sua compagnia trasformano un vecchio camion in una sorta di “scatola teatrale” itinerante, riprendendo il modello del teatro di strada e realizzando eventi simili a degli happening nelle strade e nelle piazze italiane, abbandonando del tutto i concetti di spettacolarità legati all’istituto teatrale e negando così alla base la logica che lega lo spettacolo alla mercificazione e al consumo. Questo stesso principio sta all’origine delle prime esperienze di teatro spontaneo, molto diffuse a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, che vede compagnie teatrali nascere per istallarsi nel territorio e a stretto contatto con la comunità che le abita, pensando al teatro come il luogo dove progettare nuovi rapporti sociali e avviare azioni politiche. Mentre si moltiplicano gli esperimenti di compagnie che si stabiliscono in luoghi periferici intessendo rapporti di scambio, se non di vera e propria collaborazione, con gli abitanti del posto – si vedano Leo e Perla a Marigliano, in provincia di Napoli, o Eugenio Barba con l’Odin teatret in Sardegna e nel Salento – altre compagnie ricercano una maggiore vicinanza con i movimenti extraparlamentari, accompagnando con le loro esibizioni alcuni eventi di protesta e manifestazioni controculturali – molto noto in questo senso è il caso della compagnia La Comune di Dario Fo e Franca Rame – delineando così un’ulteriore declinazione del cosiddetto  “Sessantotto teatrale”, incentrato sulla militanza attiva. Nel 1969, durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto, Luca Ronconi mette in scena il celebre Orlando Furioso, riadattato da Edoardo Sanguineti, in seguito messo in scena in molte piazze italiane e internazionali, che è considerato un vero e proprio evento simbolico e quasi celebrativo non solo dello spirito che anima il Nuovo Teatro, ma più in generale dell’intero Sessantotto, e che, oltre a presentare una struttura scenica del tutto innovativa, ha il merito di aver ottenuto un grande coinvolgimento del pubblico trasformandosi in una sorta di grande festa popolare e realizzando appieno la visione utopistica del teatro che sembra animare le sperimentazioni del periodo. Assieme allo sviluppo del Nuovo teatro si deve poi considerare il fenomeno della crescente teatralizzazione delle arti, che va a delineare un campo di sperimentazioni ibrido e molto ampio, in cui l’istanza relazionale con il fruitore e il suo coinvolgimento nella produzione estetica diventa essenziale, e che porta alla formazione di una sorta di “movimento parallelo”, ma legato nella risultante e nelle premesse al Nuovo Teatro, alimentato dalla collaborazione tra artisti afferenti a diverse discipline. Di questo fenomeno si rendono protagonisti alcuni artisti visivi come Achille Perilli con il Gruppo Altro/Intercodice e Michelangelo Pistoletto con il progetto Zoo, nonché la Neoavanguardia letteraria, a partire dal Gruppo 63 e dal Gruppo 70, con la realizzazione di veri e propri spettacoli teatrali e di happening, ma anche con i reading di poesia che animano le serate delle cantine romane e dei locali attivi in ambito teatrale come il Beat 72 e il Dioniso Club. A partire dalla metà degli anni Sessanta il Nuovo Teatro vede un periodo di grande fortuna e di ridefinizione formale, con la nascita di nuove tendenze come il Teatro Immagine e la Post-Avanguardia. Durante gli anni Ottanta il Nuovo teatro sembra indirizzarsi verso un’assunzione della “spettacolarità” tipica del postmoderno, servendosi dei nuovi sistemi mediatici, seppur continuando a elaborare strategie che esprimano un’istanza critica nei confronti della contemporaneità.

BIBLIOGRAFIA:
Si rimanda in questa sede ad alcune tra le più recenti pubblicazioni in merito alla storia del Nuovo teatro: D. Visone, La nascita del Nuovo Teatro in Italia 1959-1967, Titivillus, Corazzano 2010; S. Margiotta, Il Nuovo Teatro in Italia 1968-1975, Titivillus, Corazzano 2013; M. Valentino, Il Nuovo Teatro in Italia 1976-1985, Titivillus, Corazzano 2015, e V. Valentini, Nuovo teatro made in Italy 1963-2013, Bulzoni, Roma 2015. Si veda inoltre lo studio fondamentale di Franco Quadri, L’avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), Einaudi, Torino 1977, che raccoglie i materiali relativi alle diverse compagnie che compongono il Nuovo Teatro.

 

[Giovanna Lo Monaco]
[scheda aggiornata al 17 luglio 2019]