CIRCOLO DI AREF’EV

CIRCOLO DI AREF’EV

DATE:
fine anni Quaranta-inizio anni Sessanta

LUOGO:
Leningrado

COMPONENTI:
Aleksandr Aref’ev, Roal’d Mandel’štam, Richard Vasmi, Šolom Švarc, Vladimir Šagin e Valentin Gromov.

DESCRIZIONE:
Conosciuto anche con il nome di Orden niščenstvujuščich živopiscev (Ordine degli artisti poveri) e con quello di Boltajka (dal verbo boltat’, chiacchierare), la cerchia di pittori riuniti intorno ad Aleksandr Aref’ev costituisce una delle primissime espressioni della cultura non ufficiale sovietica. Fatta eccezione per il poeta Roal’d Mandel’štam e per Richard Vasmi, proveniente da un Istituto di Architettura, gli altri componenti si incontrarono alla Scuola Media Artistica di Leningrado. L’iscrizione a questo istituto differenzia gli Aref’evcy da tutti quei futuri pittori non conformisti che non avrebbero potuto vantare una formazione artistica tradizionale. Gli aspetti più innovativi della loro opera possono rintracciarsi nell’originale utilizzo del colore, così come nell’attenzione concessa a tematiche e soggetti marginali, anche geograficamente, ed esclusi dall’arte ufficiale: Šagin disegna in piena epoca staliniana un arrestato trascinato via da un poliziotto, Aref’ev ritrae la scena di una fucilazione sul modello di Goya. Nei quadri degli Aref’evcy troviamo raffigurato il lato più oscuro dell’ex-capitale russa, fatto di cortili, scale, squallide balere, ma non sono del tutto assenti scene di vita armoniose, che risaltano in contrasto con il grottesco e la crudezza di altri quadri. Le opere, realizzate su tele di piccole dimensioni, sono non di rado semplici disegni eseguiti su materiali di fortuna. Definiti anche «gli ultimi impressionisti» (Poslednie impressionisty) per l’influenza che la corrente francese, cui era stata dedicata una sezione al terzo piano dell’Ermitage, esercitò sulla loro arte, gli Aref’evcy vengono spesso citati come uno degli esempi più fulgidi di sintesi delle arti, considerando in particolare il linguaggio figurativo e quello verbale. Oltre allo stesso Aref’ev, vera leggenda agli occhi della cultura indipendente coeva e futura per via del talento ma anche per il problematico rapporto con l’alcol e le droghe che finirà per costargli l’arresto (emigrerà in Francia nel 1977, morendovi pochi mesi dopo), la figura senza dubbio più rilevante è Roal’d Mandel’štam, primo esempio di poeta leningradese la cui opera si è conservata, divenendo celebre, esclusivamente grazie ai canali del Samizdat. Morto ventottenne di tubercolosi dopo anni di sofferenze, autodidatta, grande conoscitore tanto della cultura classica come di quella cinese e giapponese, della letteratura europea (con una predilezione per García Lorca, che tradusse) e della poesia russa, la figura di Roal’d, omonimo di uno dei massimi modelli di riferimento della ‘Seconda cultura’ (Osip, insuperato esempio di coraggio civile durante il Terrore staliniano), esercitò a sua volta una grande influenza sulle future cerchie dell’underground, soprattutto a Leningrado. La sua poesia, che risente dell’influenza avanguardista e modernista (con un’attenzione specifica per l’opera di Nikolaj Gumilev), spazia da tematiche intimistiche a soggetti di argomento storico, senza tralasciare i versi di carattere mistico, particolarmente affini al testo pietroburghese. La camera in Kanonerskaja ulica entro la quale fu costretto per motivi di salute fino al 1961, anno della sua morte, rappresenta il luogo di ritrovo privilegiato degli Aref’evcy, «il salone dei reietti», secondo la definizione data dagli stessi appartenenti al gruppo. La prima mostra di questi artisti, accostati per stile di vita ai coevi beat statunitensi, ebbe luogo nel 1974, durante un’esposizione di arte alternativa tenutasi al circolo culturale della fabbrica Kirov.

BIBLIOGRAFIA:
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[Federico Iocca]
[scheda aggiornata al 12 aprile 2018]